Un'iniziativa che condivido

Questo blog è, per questa sezione, "gemellato" con il blog: http//sosmammo.blogspot.com di Cristiano Camera. Pertanto sugli argomenti della sezione "In - dipendenza" tutti i commenti che verrano postati saranno reindirizzati anche sul suo blog. E' sembrata una buona idea per aumentare la discussione e fare circolare le idee.

lunedì 1 febbraio 2010

Giovani e sostanze

La prima sostanza con cui i giovani si approcciano è la cannabis il cui principio attivo è il tetraidrocannabinolo Abbiamo visto che la percentuale di giovani consumatori intervistati nella fascia 14/19 anni si aggira interno al 40%. (Indagine di popolazione sul consumo di sostanze psicotrope nella città di Milano - Survey 2007).
Prima di arrivare a comprendere quali possano essere i motivi che spingono gli adolescenti al consumo, sia esso occasionale o meno, è utile spendere due parole sul periodo dell’adolescenza in generale.
L’adolescenza è l’età in cui si integrano (o dovrebbero integrarsi) tutte le competenze e le nuove capacità acquisite durante l’infanzia e l’età scolare. È una fase nella quale vi sono specifici compiti di sviluppo. Da autori come Erikson [studi sull’identità della seconda metà del ‘900) e Marcia (1980), all’adolescente viene attribuito il compito della costruzione dell’identità. In particolare mi sembra significativa la classificazione proposta da Berzonsky, a partire da quella di Marcia, in cui si identificano tre tipi di stili di identità:
• Stile Informativo o dell’identità raggiunta: in cui l’adolescente riflette su di sé e utilizza l’ambiente circostante per individuare informazioni che gli servono per approfondire la conoscenza di sé
• Stile normativo: in cui l’adolescente è caratterizzato dal conformismo nei confronti di attese e prescrizioni che arrivano dall’esterno, con una derivante struttura del sé piuttosto rigida e resistente al cambiamento.
• Stile diffuso/evitante: in cui l’adolescente è caratterizzato da una struttura del sé frammentata che utilizza strategie decisionali casuali con un’inclinazione alla ricerca di esperienze nuove non elaborate.
Ne emerge un quadro dell’adolescenza contraddistinto da una caratteristica di fondo che è quella della curiosità che si estende su un’immaginaria linea continua che vede ad un estremo polo una ricerca di tante nuove esperienze da “divorare”, all’estremo opposto una ricerca di esperienze quantitativamente meno significativa, da “digerire”.
È in questo contesto che si può ascrivere il contatto con le sostanze stupefacenti che hanno il duplice scopo di soddisfare la curiosità verso stati più o meno alterati di coscienza, e contemporaneamente di assaporare il gusto della trasgressione.
Abbiamo già più volte accennato che la sostanza maggiormente “sperimentata” è la cannabis soprattutto a causa dei costi contenuti e della sua facile reperibilità. È anche una sostanza che di solito viene utilizzata in gruppo (almeno inizialmente) assumendo quindi anche una ritualità che tende a saldare il gruppo stesso.
Gli effetti ricercati sono: stato di ebbrezza, allegria, lucidità di pensiero, capacità di concentrazione e di memoria, alterazione del tempo.
Gli effetti indesiderati sono: dilatazione del tempo, paranoia, fame chimica, perdita di lucidità, nausea, tristezza.
La reazione dell’adulto di fronte ad un giovane che ha provato lo spinello si colloca di solito a due estremi opposti: eccessivo allarmismo da un lato, eccessiva tolleranza dall’altro. Si passa quindi da frasi del tipo “dottoressa mio figlio è un drogato” a frasi del tipo “dottoressa cosa vuole che sia uno spinello, lo fanno tutti”.
Per la mia esperienza, le criticità in relazione alla sperimentazione d’uso di sostanze come la cannabis sono due: la prima attiene alla sfera dell’illegalità con la quale l’adolescente viene in contatto – lo spaccio, così come l’acquisto e il consumo sono illegali in Italia. La prossimità con l’ambiente dell’illegalità può esporre gli adolescenti ad una distorsione cognitiva come quella del “facile guadagno” e alla sperimentazione di ulteriori sostanze prontamente sponsorizzate dal “marketing dello spaccio”.
Inoltre laddove si sia in presenza di una forte vulnerabilità, rappresentata da marcata timidezza, forte adesione al contesto, fragilità di rapporti significativi, scarsa identità sessuale ecc., il ricorso ad una stampella esterna, come può essere lo spinello, può diventare indispensabile per “sentirsi all’altezza”, contribuendo così all’insorgere di una dipendenza.

lunedì 25 gennaio 2010

Il punto di vista di Cristiano Camera - SOS Mammo! - sulle regole

Pubblico questo interessante spunto di riflessione/discussione di Cristiano Camera http://sosmammo.blogspot.com/ sulle regole che i genitori impongono ai propri figli... Spero così che possa nascere una discussione, che posterò anche a Cristiano, su come la coppia di genitori approccia il tema delle regole, ma soprattutto come i genitori decidono la "classifica" delle regole importanti.

"Mi sono ritrovato di recente a scambiare con alcuni genitori le mie opinioni su temi quali l'indipendenza, la privacy e le regole nei riguardi di un neonato. Questi argomenti per così dire 'forti', perchè riferiti a un rapporto fra adulti e figlio di neanche un anno, nascono dal fatto che le parole per descriverli sono state usate, ricorrentemente, dagli stessi genitori. Quindi, quando essi parlano di indipendenza, privacy e regole, descrivono e sembrano conoscere il modello educativo a cui si ispirano e che mettono in pratica. Vorrei che la discussione proseguisse su questo blog. Pertanto, oltre a invitare a esprimere ulteriormente il proprio pensiero chi ha suscitato il dibattito, invito a parteciparvi anche gli altri lettori di SOS Mammo.


Indipendenza: il neonato dorme da sempre da solo, mai stato nel lettone con mamma e papà. Seppur non condivida la scelta, niente da ridire, ovviamente: si tratta di una decisione legittima. Ma la spiegazione data, "gli serve ad acquistare indipendenza", mi lascia perplesso e contrariato: indipendenza a quell'età?! Quando oggi l'indipendenza non si raggiunge nemmeno a trent'anni?! Mi suona strano parlare di indipendenza riguardo a un figlio praticamente fin dal giorno dopo il parto. P.S.: Lo dice uno che fino a poco fa, sulle pagine di questo blog, ha sostenuto strenuamente la causa dell'indipendenza e che lo farà sempre. Ma deve essere un tipo di indipendenza desiderata attivamente anzitutto da se stessi. L'indipendenza non può infatti essere qualcosa di imposto e nemmeno di regalato, ma deve essere guadagnata, attraverso il dialogo e addirittura con il conflitto.

Privacy: "Il piccolo è meglio che dorma solo anche per una questione di privacy". "Privacy? Nei riguardi di un bimbo di quell'età? Ma in che senso? Rispetto alla sfera sessuale?". "Non solo per questo...". Sinceramente, non comprendo quali altri sensi. E poi, due genitori dovrebbero avere dei momenti privati rispetto a un neonato? Forse sì, ma di cosa si accorgerà mai a quell'età e che 'idea' potrebbe farsi del papà e della mamma? Davvero non ci arrivo e forse è colpa mia. Ma anche la parola privacy mi suona strana alle orecchie.

Regole, regole, regole: darne da subito, da sempre. Anzi, prima si stabiliscono e meglio sarà dopo. Una di queste regole recita: non giocare in casa d'altri. Di conseguenza, è un maleducato il bambino che tocca e gioca con oggetti che non sono i suoi in un posto che non gli appartiene e in modo giudicato forse troppo esuberante. A volte però è soltanto allegria, entusiasmo, curiosità, voglia di conoscere nuovi strumenti. Spesso, in questi casi, niente va mai rotto o perduto in casa d'altri.

Regole e ancora regole: supportate da questo o da quell'autore di questo o di quel famoso libro. Lo psicologo, il pedagogo, il neuropsichiatra infantile, l'accademico pluridecorato e il divulgatore di turno, i quali dall'alto dei loro studi e grazie a essi, alle loro esperienze e alla loro autorevolezza, "hanno dimostrato", "hanno prodotto indiscutibili evidenze scientifiche", e, successivamente "modelli da adottare" tali da non essere più contestabili. Peccato che i paradigmi ispiratori neo costruiti si smentiscano sempre l'uno con l'altro, in quanto lo psicologo, il pedagogo, il neuropsichiatra infantile, l'accademico pluridecorato e il divulgatore di turno affermano sempre tutto e il contrario di tutto. Spesso, però, per risolvere la controversia è sufficiente sciegliere da che parte schierarsi, con chi stare, quale santone adorare e quale metodo educativo consigliato adottare.

Conclusioni: In fondo, i bambini sono anche un laboratorio per gli esperimenti dei genitori che, per carità, fanno tutto per il bene dei figli e, in questo, sono spesso 'spalleggiati' da scienzati prossimi premi Nobel. Anch'io ho letto qualcuno di questi manuali e frasi illuminanti tipo "la prima sera lasciatelo piangere nel suo lettino, poi non piangerà più e si addormenterà. La seconda o terza sera non piangerà nemmeno, dato che nessuno arriverà a 'soccorrerlo', e si addormenterà felicemente". E devo confessare anche di aver provato, una volta soltanto però, il metodo in questione e la sera dopo, dato che Dodokko mi sembrava tutt'altro che felice, ho lasciato perdere. Questo nonostante il risultato del test di laboratorio dicesse.,a chiare lettere e senza possibilità di equivoci, che mio figlio si sarebbe addormentato 'felicemente'.

P.S.: Dimenticavo, dato che le regole da ricordare sono tante, la numero 321, che non si legge "trecentoventuno", ma "3" (pausa breve), "2" (pausa breve), "1" (pausa più lunga, come di attesa). Cosa si attende? Facile, che il bambino la smetta, immediatamente, di fare ciò che sta facendo. Che sicuramente è qualcosa che non va fatto. E se non la smette e il bambino continua? I genitori non me lo hanno detto, ma, mi hanno assicurato che il figlio la smette sempre e subito, non appena essi pronunciano l'ultimo numero magico della serie."

martedì 19 gennaio 2010

Ancora sull' in - dipendenza


Prima di entrare più nello specifico delle tematiche di addiction parlando dei singoli comportamenti legati all’abuso di una sostanza o l’altra, credo che una riflessione vada fatta rispetto ai comportamenti del nostro vivere quotidiano.


La società in cui viviamo è una società in cui i criteri della performance e della produttività vincolano e veicolano molte delle nostre scelte quotidiane. A titolo esemplificativo proviamo a pensare alle pubblicità dei farmaci da banco: “ influenza - due cene saltate, la partita di tennis saltata, la riunione con il capo saltata .. : prendi la pastiglia e i sintomi spariscono”. Così come la pubblicità di un farmaco contro i dolori mestruali che fa la parodia del fil Matrix e alla pastiglietta “rosa” che magicamente “risolve” il problema. Ho utilizzato l’esempio del farmaco perché, secondo me, rende perfettamente l’idea di ciò che sto cercando di dimostrare. Siamo abituati (chi più chi meno, ma il fenomeno ci coinvolge un po’ tutti) a vivere come impedimento il più piccolo fastidio e, di conseguenza, ad allontanarlo da noi cercando di annullarlo. Con questo non voglio dire che sia meglio soffrire stoicamente, ma vorrei che quando allunghiamo la mano verso il blister di questo o quel farmaco lo facessimo con la consapevolezza di chi compie una scelta.

Questa capacità di discernere dovrebbe accompagnarci continuamente nella cosiddetta “vita reale” e ovviamente non mi riferisco solo all’uso dei farmaci: quando andiamo in macchina e superiamo i limiti di velocità o non allacciamo la cintura o, ancora, portiamo i bambini non sul seggiolino, oppure quando compriamo molti gratta e vinci con la determinazione che la fortuna “deve” girare, o quando andiamo a cena fuori e non decidiamo che uno debba essere il guidatore designato e quindi non deve bere.

La riflessione che sto cercando di portare è che quando si parla di comportamenti di addiction si pensa sempre ai giovani, ai figli relegando il problema al di fuori di noi, come se noi ne fossimo immuni. Nella realtà siamo proprio noi, la generazione degli adulti consapevoli, che implicitamente sdoganiamo, con i nostri comportamenti “banali” e “quotidiani” il concetto che le regole sono fatte per gli imbranati e per i deboli.

martedì 12 gennaio 2010

In - dipendenza


Sempre più spesso leggiamo sui giornali notizie relative al sequestro di quantitativi di cocaina, come pure inchieste allarmati riferite al dilagare del consumo di sostanze stupefacenti da parte di porzioni sempre maggiori di popolazione.

Mi piacerebbe, allora, cercare di approfondire meglio il fenomeno della dipendenza o, per definirlo più precisamente, sia pure con termini anglofoni, i “comportamenti di addiction” . Cerco di spiegarmi meglio: in realtà parlare di “dipendenza” ci porta a focalizzare l’attenzione su un aspetto “patologico” del problema, mentre quando parliamo di comportamenti di addiction la nostra attenzione si può meglio concentrare sugli aspetti legati alle scelte. Il comportamento, infatti, a meno che non sia una risposta di tipo “riflesso”, implica una consapevolezza da parte del soggetto che sceglie un’azione piuttosto che un’altra.

Quando ci si avvicina alle sostanze stupefacenti, di solito, e nella maggioranza dei casi è così, lo si fa per la curiosità di provare un brivido, un’esperienza di alterazione, di “sballo”. La letteratura su questo argomento ci fornisce dati che possono spaventare. Cito, a titolo di esempio, i dati dell’osservatorio dipendenze dell’Asl Città di Milano: INDAGINE DI POPOLAZIONE SUL CONSUMO DI SOSTANZE PSICOTROPE NELLA CITTÀ DI MILANO - SURVEY 2007 – che riporto testualmente per le parti relative al consumo di cannabis e cocaina:

Il consumo di derivati della cannabis hanno valori generalmente sensibilmente elevati (fino al 70% per i maschi 25-34 anni [...]) e in particolare, nei soggetti giovani, più della metà ha dichiarato di aver consumato cannabis nella vita, mentre il 40% circa lo ha fatto recentemente e il 25% circa lo ha consumato nei trenta giorni precedenti alla compilazione dell’intervista

Dopo la cannabis, la cocaina è lo stupefacente più consumato dal campione intervistato. Pur mostrando i valori più alti per la classe 25-34 anni, si nota come anche i più giovani raggiungano valori considerevoli. Nei confronti del 2004 si nota un modesta ma diffusa tendenza all’aumento delle prevalenze

Uno degli stereotipi più diffusi sull’uso di droghe recita che “tutti coloro che usano le canne poi passano all’eroina” (o comunque alle “droghe pesanti”). Ovviamente, e per fortuna aggiungo io, le cose non stanno proprio così e i dati lo dimostrano. Se noi proviamo a cambiare l’ordine delle parole “tutti coloro che usano droghe pesanti hanno usato le canne”, allora ciò che leggiamo diventa maggiormente credibile.
Questo suggerisce alcune riflessioni:

1. l’atteggiamento di curiosità è tipico delle fasce giovanili della popolazione, il che porta ad una massiva sperimentazione dei cannabinoidi in generale

2. solo una parte di questi soggetti prova anche altri tipi di droga: perché?

3. perché la seconda sostanza, per diffusione del consumo, è la cocaina?

Quello che mi piacerebbe fare, con questo spazio, è aprire una discussione su queste riflessioni che ci porti ad approfondire un tema su cui esistono allarmismi, paure, e discussioni accademiche. Ciò che raramente viene fatto, però, è riferire le problematiche di dipendenza a noi stessi, alle nostre esperienze e al nostro mondo ritenendo che sia un “problema di altri”.
Siccome ho aperto questo post con l’accento sul comportamento di addiction, mi piacerebbe discutere certamente di droghe, ma anche di internet, di dipendenza affettiva e dipendenza alimentare, di sport estremi.. di tutto ciò, insomma, che ci fa riflettere sui nostri comportamenti in diversi ambiti della vita quotidiana.

giovedì 17 dicembre 2009

Natale!


Ormai manca meno di una settimana al Natale, tutti corrono, tutti si affrettano per gli ultimi acquisti! In questi giorni mi è capitato spesso di sentire trasmissioni in radio o per televisione, che invitavano al ritorno dei "buoni sentimenti", fondamento e senso del Natale, anche in virtù di questa "crisi" che toglie, a molte persone, la possibilità di investire denaro per i regali, e li costringe ad usare le tredicesime per ripianare debiti contratti, ad esempio per il mutuo.
Il Natale è la festa soprattutto dei bambini che aspettano l'arrivo di Gesù Bambino o Babbo Natale, a seconda della tradizione. Certo, i bambini della crisi capiscono poco, forse capiscono poco anche di buoni sentimenti, ma certamente e molto più degli adulti, sono in grado di guardare con gli occhi che scitillano si stupore e di eccitazione alla magia del Natale. I bambini che si affidano incondizionatamente ad un mondo di adulti che troppo spesso li sottovalutano e li deludono. Credo che appartenga all'esperienza di ciascuno di noi l'aver donato un bellissimo gioco ad un bimbo che, per tutta risposta, non ha esitato a giocare con il suo contenitore (la scatola, la carta, o il fiocco..).
La mia riflessione è allora questa: perchè non proviamo ad impegnarci a far passare ad i nostri bambini un Natale all'insegna della qualità. Cerco di spiegare meglio ciò voglio dire: quando parlo di qualtà, mi riferisco al tempo che passiamo con loro. In realtà noi adulti, più siamo presi, più siamo stressati, più trasmettiamo ai nostri bambini l'esatto contrario di ciò che si aspettano. Troviamo il tempo per "preparare con loro" la magia del Natale. Addobbiamo la casa insieme a loro, magari con piccoli lavori fatti insieme. Cosa ci può essere di più divertente che preparare biscotti, segnaposti, centrotavola ecc.ecc. e ritrovarsi tutti (mamma, papà e bambini) a riscoprire delle piccole magie che sono poi quelle che costituiranno il bagaglio di ricordi di quell'infanzia che molti di noi hanno dimenticato. Credo che facendolo, riscopriremmo la magia di Natale!
Auguri a tutti!

martedì 24 novembre 2009

Fiocco rosa o azzurro: l’arrivo di un figlio


Se i nostri Paolo e Francesca sono riusciti a superare indenni le avventure dell’inizio della loro convivenza, di nuove se ne presentano alla nascita di un figlio. Già perché raggiunto un equilibrio costruito a suon di compromessi, tutto trascorre sereno a tal punto che si inizia a pensare di passare da coppia a famiglia. Ecco che la nostra Francesca attende un bambino e ne dà, emozionata, comunicazione a Paolo, ed ecco che i nostri due amici varcano la soglia di una porta che li porterà in un regno incantato da cui però non potranno mai più uscire. Sì perché quando si decide di diventare genitori si compie una scelta irreversibile, che ci accompagnerà per il corso di tutta l'esistenza, qualunque siano le nostre decisioni o scelte future, al di là perfino della decisione di rimanere o meno insieme come coppia. Dopo nove mesi di gravidanza che, giusto per dovere di cronaca, non è una condizione “patologica” ma un evento naturale, nasce un essere meraviglioso “cucciolo di uomo”.
Il primo problema che si presenta è quello della riorganizzazione dei ruoli della coppia. Soprattutto all’inizio, il piccolo tende ad assorbire tutte le energie dei neogenitori, e la giornata risulta scandita dai suoi tempi, tanto che si ha l’impressione di “essere sempre in pista”. La frammentazione dei normali tempi della giornata porta la nostra copia ad avere la sensazione di non dormire mai, di essere sempre impegnata a nutrirlo, cambiarlo ecc. Riorganizzarsi su questi ritmi non è facile e il rischio più incombente è di perdere di vista le proprie esigenze e quelle dell’altro. A complicare il tutto in casa si aggira lo spettro della “gelosia” che in parte viene diretta sul nuovo arrivato, ma in buona misura coinvolge direttamente la coppia, i cui membri sono ora distratti da un terzo, per di più molto esigente, che cattura buona parte delle attenzioni disponibili. La gelosia, per sua natura, porta con sé, i sensi di colpa..( ad esempio “non sono un genitore adeguato perché vorrei che l’altro/a si occupasse di me!”)
Ancora una volta l’unico modo per sopravvivere come coppia risulta essere la comunicazione! Cercare di raccontare all’altro come ci si sente e cosa si prova è un buon viatico per risolvere un problema prima che assuma le caratteristiche di “freddezza”, “disinteresse”, “nervosismo” accuse di non presenza ecc.ecc. Diventa essenziale ritagliarsi dei piccoli spazi: basta anche mezz’ora, mentre il cucciolo dorme!

lunedì 16 novembre 2009

Dal singolare al plurale


Il passaggio dalla condizione di figli a quella di individuo prima e di coppia poi è sicuramente il conseguimento di un obiettivo, ma è anche un momento delicato e non privo di conflitti.
Prendiamo una coppia costituita da Francesca (29 anni) e Paolo (32 anni). Come vuole la tradizione letteraria Paolo e Francesca si amano alla follia e ciascuno dei due vede gli aspetti positivi dell’altro e sottostima gli aspetti un po’ meno positivi. Anzi come tutti gli innamorati che si rispettano addirittura tendono a considerare come pregi anche gli elementi più problematici del carattere dell’altro.
Con il passare del tempo Paolo e Francesca decidono di andare a vivere insieme per formare un nucleo autonomo. Di solito, passati i primi tempi dell’idillio, è proprio in questo primo periodo che iniziano i motivi di conflitto.
Se cerchiamo di allargare la nostra visuale ci rendiamo conto che il “sistema coppia” è inserito in un sistema che comprende almeno tre famiglie: Paolo e Francesca, la famiglia d’origine di Francesca e quella Paolo. Possiamo quindi affermare che ciascuno dei due individui che formano la nostra coppia porta con sé un’individualità che si è formata in un sistema di credenze, abitudini e stili relazionali della propria famiglia d’origine. La famiglia di Francesca, formata da padre madre due figlie e una nonna, è una famiglia molto unita, hanno l’abitudine di mangiare assieme tutte le sere, credono che le coppie giovani per funzionare abbiano bisogno di tutto il supporto e l’esperienza dei membri più maturi, e che sia bene telefonarsi quotidianamente per raccontarsi la giornata. La famiglia di Paolo è costituita da lui e i due genitori. Sono molto indipendenti tra loro, coltivano interessi diversi, anche se questo può portarli a mangiare ad orari separati. Nel loro stile familiare quando si esce di casa ci si guadagna il diritto alla non interferenza e ci si sente se c’è bisogno di qualcosa in particolare.
Paolo e Francesca cercheranno, ciascuno per la sua parte, di portare all’interno della coppia il proprio stile familiare. Possiamo lecitamente supporre che le loro prime discussioni saranno sul fatto che si debba o meno mangiare insieme sempre, oppure saranno sul fatto che Paolo potrebbe sentire come ingerente la famiglia di Francesca e, viceversa Francesca potrebbe sentire come assente/rifiutante la famiglia di Paolo. Se la loro coppia è basata sulla reciprocità nella relazione, cioè se entrambi sentono di avere pari dignità, è altamente probabile che dapprima alternino gli stili con un compromesso del tipo “una volta come dico io e una volta come dici tu”, successivamente il compromesso potrebbe trasformarsi in un vero punto di incontro (ad esempio mangiamo insieme il giovedì e la domenica mentre gli altri giorni solo se i nostri impegni ce lo permettono). In quest’ultimo caso Paolo e Francesca avranno creato una regola relativa solo alla loro coppia che andrà a costituire il primo mattone per una cultura familiare propria e riconosciuta come “regola condivisa della famiglia di Francesca e Paolo”.